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Quale futuro? La parola ai giovani

Aggiornato il: 30 Settembre 2022 -
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Il futuro dei giovani è un argomento di grande importanza, tuttavia poco presente nei dibattiti. Abbiamo posto qualche domanda a Alessandro Regge, presidente e fondatore di Omnia Torino, un think tank indipendente di ragazze e ragazzi che ha come obiettivo immaginare il futuro di Torino area metropolitana attraverso una strategia sistemica individuata in sette distinte aree

Quali sono i temi che vi stanno maggiormente a cuore?

«Molte delle battaglie che oggi portano avanti i giovani e i temi di discussione che riguardano la collettività, quindi politica e bene comune, sono legati a un fattore di sopravvivenza. Questo è emerso dai momenti di ascolto e di discussione che noi dell’associazione abbiamo svolto negli ultimi tempi. La questione ambientale è la prima, il battersi per l’ambiente significa battersi per la casa globale, se c’è un problema in questo senso riguarda tutti. Lo l’abbiamo visto con la siccità a livello globale, ma soprattutto locale. Se viene a mancare l’attenzione nei confronti di questi aspetti, dall’acqua all’inquinamento atmosferico fino a situazioni ambientali degenerative, è una questione di sopravvivenza dell’intero globo, di tutta la specie umana. Poi c’è la questione di sopravvivenza che riguarda anche le condizioni economiche, dal precariato a situazioni di incertezza. Se nel passato i ragazzi combattevano per tentare di raggiungere degli obiettivi, per i diritti, con la speranza di un futuro, adesso la speranza è di sopravvivere per avere un futuro. Tutto questo porta a dire che bisogna fare qualcosa perché ci troviamo in una situazione di smarrimento e delusione».

Si sono appena concluse le elezioni, qual è stato l’umore di voi ragazzi?

«Prima del voto, con la nostra associazione abbiamo fatto delle domande in forma anonima. Tutti gli intervistati hanno risposto che avrebbero partecipato, diversi per dovere civico più che per convinzione. Alla domanda se si sentivano rappresentati e in che modo, c’è stata una serie di “no”. Da un lato perché la rappresentanza giovanile, in termini numerici, è risultata deficitaria. Dall’altro, si è reso evidente il fatto che i partiti si sono rivolti nei loro programmi a fette di popolazione che non sono più giovani poiché sono la maggioranza».

Cosa è mancato nei programmi politici?

«La linea comune emersa attraverso le domande poste è che nei programmi sono state rilevate tutte azioni rivolte più che altro a placare delle emergenze più che a vedere un futuro. A livello economico qualcuno aveva proposto degli sgravi, altri delle soluzioni legate a dei condoni, ma il problema del precariato non è stato affrontato in maniera approfondita. Il fatto di sentire la voce giovanile su alcuni temi, come quelli di collettività e l’ambiente, è stato deficitario».

Avete pensato a qualche proposta?

«Ci sarebbe piaciuto organizzare un momento di discussione con i giovani candidati alle elezioni, purtroppo ce n’erano pochissimi e riuscire ad avere presenze bipartisan è stato difficile. Di candidati under 35 ce n’erano un numero davvero esiguo».

Cosa suggerireste ai vincitori come punto di partenza?

«Dovendo sceglierne uno, sicuramente di affrontare la questione giovani e fiscalità e incentivi al lavoro. Per avere delle prospettive di un futuro, perché la speranza di avere un lavoro per i giovani che finiscono gli studi è la prima questione. Perché senza lavoro, l’emancipazione è impossibile. Quindi un processo sicuro e preciso su nuove modalità di fiscalità, su nuovi incentivi, anche fare un patto sociale tra imprese, cittadini e giovani per lo sviluppo della prossima classe lavorativa e dirigente, per una scala sociale mobile che effettivamente sia tale».

di Franca Cassine